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Mappa il tuo business non tralasciando dati, idee e lettura del mercato

Quando si avvia un progetto, sia esso business o  sociale o  non profit, è necessario analizzare le risorse e gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Insieme va costruita la mappa del proprio progetto. In questa fase è bene coinvolgere tutto il team. Solo in questo modo sarà possibile individuare eventuali punti deboli e cercare di superarli. Ma per raggiungere gli obiettivi prefissati bisogna sapere chi sono i nostri potenziali clienti e qual è il loro comportamento. Solo così potremo definire una strategia vincente.

Mappare il proprio business significa tracciare un percorso chiaro e concreto verso gli obiettivi prefissati. Per riuscirci, è necessario analizzare con attenzione la concorrenza e individuare punti di forza e di debolezza rispetto ai propri rivali. Solo in questo modo sarà possibile definire una strategia efficace ed efficiente.

Mappare il proprio business è importante per capire dove si colloca nella concorrenza e quali sono gli strumenti e le tecnologie migliori da utilizzare per espandersi. Creare un modello di business significa definire le linee guida della propria azienda, stabilendo obiettivi e strategie da seguire.

Ora alla luce di quanto trattato nei miei post precedenti dove si analizzava il Pensiero Laterale e il Pensiero Divergente, è semplice fare una mappa del proprio business?

Partiamo dal presupposto che per per mappare il proprio business è auspicabile lavorarci in team e non da soli. 

Si parte certamente dai dati di cui si è in possesso, ma poi, utilizzando il pensiero divergente, non bisogna dimenticarsi: di “produrre tante idee”, “di approfondire le idee che si è andati a creare”, di evitare di “innamorarsi troppo dell’idea che si è andati a creare, ma avere la capacità di passare da un’idea all’altra nell’ambito di più associazioni semantiche”. Alla fine del percorso bisogna avere la capacità di scegliere quale tra le idee ipotizzate risulta essere la migliore rispetto allo scopo prefissato, ma soprattutto rispetto a:

  • Mercato: i nostri segmenti di clientela
  • Obiettivi: quali sono gli scopi che intendiamo raggiungere

Il Pensiero Laterale poi ci aiuta a definire un altro assunto molto importante: non esiste un solo modo per giungere a una soluzione. Inoltre è fondamentale sgombrare la nostra mente da qualsiasi pregiudizio e partendo da dati ed idee ci si incammina verso l’idea migliore da mappare in tutti i suoi aspetti. Le mappe mentali sono un ottimo strumento per rendere visibile il nostro pensiero, le nostre idee, le nostre valutazioni, i segnali che ci vengono dal mercato, la nostra capacità di rispondere alle esigenze dei nostri clienti…

Il sensazionalismo come doping aziendale. Tutto fa spettacolo.

Luci avvolgenti, location bellissima, musica, relatori che calcano il palco come showman, veri showman o showgirl a corredo, dialettica che evoca in continuazione il successo, la vittoria, il nessuno ci può fermare, l’evocazione del tradimento o del fallimento per chi non la pensa uguale.

Iniziano e continuano spesso così gli eventi e le convention aziendali dove il brand diventa un amuleto o un totem da adorare  e dove il manager di turno diventa il santone del momento.

Non mi dispiace apparire in pubblico, non mi dispiace per nulla relazionare o tenere workshop possibilmente non pallosi, ma da qui a far prevalere l’emozione sul contenuto o la forma sulla sostanza delle cose ce ne passa.

E allora la strategia di marketing, diventa la strategia di Joe, nome di fantasia ovviamente americaneggiante che ben si coniuga con lo stile da americanata dell’evento o dell’incontro.

Si perché lo spettatore (non mi viene altra definizione) non deve trovare la cosa interessante, ma ci deve credere, deve avere fede! Se mi interesso magari mi pongo qualche domanda, ma se ho fede vado avanti ad occhi chiusi.

E allora eccoli lì i mille guru del business del terzo millennio a raccontare le loro mirabolanti e infallibili imprese. A raccontare certezze e a non ipotizzare neanche minimamente l’ipotesi di un errore o di uno sbaglio. L’infallibilità del guru assurta a nuovo dogma.

Vengo spesso ripreso dai colleghi perché utilizzo di frequente il condizionale, i verbi ipotetici: vorremmo, dovremmo, potremmo.

Indice di insicurezza dicono: Io dico che è sintomo di onestà intellettuale e di tentativo di trasferire l’idea, l’ipotesi che, nonostante ce la si metta tutta, si possano anche incontrare delle difficoltà.

Il guru è sicuro di sé. Il guru è infallibile. Allora non può avere dubbi. 

Edoardo Bennato in una sua canzone dice:

… Nessuna verità

È poi così sicura

Ci sono troppi dubbi

Non fartene un problema

Quello che voglio dire, e che ho detto già in un precedente post relativo ad estetica e sostanza, è che ci si concentra troppo spesso sull’effetto emotivo che produce un’azione che non sul valore che essa deve trasferire e produrre.

Secondo me: non di rado un linguaggio eccessivamente assertivo “violenta” chi ci sta di fronte senza trasferire nulla di veramente interessante e soprattutto utile.

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